Tattoo ha vinto numerosi premi, e a mio parere se li merita tutti, grazie a un protagonista incisivo, a una storia “evergreen”, a una bella fotografia, a delle atmosfere e una “lentezza” azzeccate e perfettamente in linea con l’anima del protagonista tormentato, e infine a una struttura narrativa quasi fiabesca, che lascia gli effettacci e le sorprese incredibili per concentrarsi di più sul vissuto dei personaggi, e sul significato delle loro azioni.
Sebbene la trama non sia poi così misteriosa, ma anzi abbastanza semplice da decifrare (c’è qualche altra opera, ne sono certo, che ha la stessa struttura, ma non riesco proprio a ricordare quale… e né se sia un racconto, un film, un fumetto o cos’altro; ma non è così importante…), la storia si segue molto bene, non stanca, non annoia, coinvolge, e anche grazie alla placida calma (prima della tempesta?) che pervade il film culla letteralmente lo spettatore fino a un epilogo non disperato (o non troppo) ma fantastico, da storia d’altri tempi.
Non vorrei mettermi a fare inutili spoiler, anche perché il corto merita di essere visto, ma ho apprezzato soprattutto il fatto che il protagonista, chiuso nel suo infinito dolore (infinito in senso spaziale, ma anche temporale), rifiuti qualsiasi coinvolgimento col suo pubblico e non fornisca risposte ai suoi gesti, non cerchi di giustificarsi o di redimersi in qualche modo. E sebbene il finale sembra dargli in parte ragione (drago come liberazione dell’anima della vittima, ma anche l’anima del protagonista stesso, da un dolore durato anni), chi può dire che non sia solo un sogno, o un pio desiderio? Forse gli angeli dall’aldilà sperano nella vendetta da parte di chi resta?
A mio parere, il nostro eroe negativo, forte della sua decisione sicuramente meditata, prende su di se il fardello della sua vendetta lasciando a noi ogni possibile giudizio, assoluzione o condanna nei suoi confronti. Ci ha pensato per anni, ossessivamente, senza spazio per altro, e le conclusioni alle quali è arrivato sono appunto quelle che vediamo nel corto. Egli fa, in breve, quel che si sente di fare, sospendendo il giudizio su se stesso, ma non solo. La riflessione finale, infatti, è lasciata quasi totalmente al giudizio del singolo spettatore ( i più sempliciotti diranno “oh, ha fatto bene!”, e per loro la cosa finirà lì – ma credo ci sia spazio per pensieri molto meno banali), che in parte necessiterà di assorbire parte delle responsabilità dell’atto compiuto nel caso l’appoggi.
Credo che sia stata proprio questa la principale motivazione per la quale il corto è stato molto apprezzato. Spero anzi di essere riuscito a spiegare bene il mio pensiero, poiché è tutt’altro che facile. Ma credo che il fatto di aver lasciato il fardello anche nelle mani di chi guarda sia una scelta azzeccata che non tutti fanno, limitandosi all’effettaccio, al Rape & Revenge, e poi tutti a casa.
Qui, invece, no. Manca anche l’effetto grandguignolesco che l’inizio del corto faceva sospettare, ulteriore dimostrazione che non è di carne e orrore sanguinario che stiamo parlando, quanto di dolore, e delle possibili reazioni a esso.
Ma a parte questo, tutto è valido in Tattoo. Le immagini nitide, il montaggio, la lentezza, il bel finale. Ci sono, è vero, qualche inciampo nella recitazione, qualche semplicità di troppo nella rappresentazione visiva, ma considerato il risultato finale ci si passa davvero sopra. Bella anche la scelta cromatica, e la colonna sonora.
Un corto, insomma, con qualcosa da dire, umano nel senso più ampio del termine, e non legato troppo strettamente alle tematiche tipiche dell’horror. Anzi, un corto che di horror in fin dei conti ne ha poco, ma che rimane comunque un valido esempio di quanto questo genere possa subire contaminazioni e rimanere valido.
Bravi a tutti.