Il corto di quest’anno di Davide Pesca è anche quello che mi vede dargli il voto più alto in assoluto rispetto alle sue opere precedenti. Mai come in questa occasione, infatti, trovo che questo talentuoso regista gore nemico dei compromessi sia riuscito a sintetizzare efficacemente il suo pensiero, evitando ridondanti esibizioni di sangue e torture per concentrarsi unicamente sul messaggio.
La storia dell’uomo che, all’interno di quello che sembra un classico peep show, continua a dare soldi alla spogliarellista anche quando lei si è tolta ormai ogni abito, e non sa più cosa potrebbe offrire (però, nondimeno, continua a farlo macellandosi!) è un bel ritratto che lega i due lati della stessa medaglia, e cioè il cliente e il venditore, il maniaco e la vittima, l’uomo (lo spettatore) ormai assuefatto a tutto, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo che superi i limiti e lo faccia divertire (per i 5, 10 secondi di un’eiaculazione – fisica ma anche mentale)… e la donna (la televisione, ma anche qualsiasi altro mezzo di intrattenimento, qualsiasi tipo di rapporto sociale) chein quel gioco entra, lasciandosi trascinare, oppure come elemento cosciente.
Se infatti di primo acchitto è facile dare tutte le “colpe” all’uomo che guarda e che è annoiato da ogni cosa, e che coi soldi vorrebbe comprare tutto, anche la dignità, anche i segreti, anche la vita, riflettendoci sopra sembra che un certo ruolo attivo nella vicenda lo abbia anche la donna chiusa in gabbia, che in fin dei conti potrebbe anche rifiutare, potrebbe cercare di far ragionare l’uomo, di far rinsavire lo spettatore, non cedendo alla stessa tentazione. Eppure, lo fa. E forse non era nemmeno così impreparata, visto che ne reggicalze nascondeva un oggetto tanto improbabile per uno strip tease come un coltello.
E quando poi alla fine l’uomo gode, e la donna muore, quello che ci viene da pensare è che nessuno dei due potrebbe essere ciò che è senza l’appoggio dell’altro, e che dunque – forse - il male è ovunque, è una spirale senza uscita, o forse è così esteso da non esistere.
Chi diceva (pressappoco) che “nessuna dittatura potrebbe esistere senza un’accondiscendenza, anche minima, anche microscopica, da parte delle sue vittime”? Non ricordo. Ma di certo questo corto di Pesca mi ci ha fatto pensare. E che la figura della spogliarellista nella gabbia rappresenti la vittima innocente, la venditrice abile, la ragazza che cede alle lusinghe del male, questo non cambia il fatto che tutte e tre queste figure siano realmente esistenti, e contemporaneamente rappresentate dalla trama. Sta, credo, solo a noi decidere quale delle 3 stava dentro la stanza.
Quindi ecco il motivo per cui quest’anno Pesca si becca il voto alto. Non certo per il gore (che tra l’altro viene sempre offerto a piene mani, anche in modo esagerato, al punto che non viene più recepito – perlomeno da me – come elemento perturbante, quanto piuttosto come percorso da dover affrontare per forza, anche con un po’ di noia visto con quale insistenza viene solitamente proposto da Pesca, in modo da poter arrivare finalmente al finale e al punto della situazione) quanto piuttosto per il messaggio, e il modo circostanziato e conciso col quale esso è offerto.
Il corto, forte della sua estetica estrema, è coerente con se stesso ma nello stesso tempo privo – anche se non del tutto- di autocompiacimento. E’ più estetico, appunto, che spettacolare (a parte la solita insistenza sulle viscere esposte), e della sintesi fa virtù.
Non sono mai stato un fan del gore (fine a se stesso), della violenza, dell’umiliazione e di percorsi estremi, che spesso mi annoiano col loro pretendere di essere anarchici e satanicamente liberi dalle catene della società; pure, sono in grado di riconoscere quando una modalità di rappresentazione viene utilizzata nel modo giusto, con un obiettivo e con coerenza.
Per cui, bravo Pesca.