Seguendo un video-consiglio del Frusciantone, ho superato la mia avversione per le produzioni semi-amatoriali/indipendenti/”scusate-non-c’ho-soldi” e ho guardato questo film di Daniele Misischia, regista dello zombesco TheEnd? (un film che si basa tutto su una scena di Demoni 2), e che ho scoperto aver partecipato anche a varie edizioni del prestigioso TROHSMFA.
Ora, per dirvi cosa penso di questo Mostro della cripta, ho deciso di non sbattermi nel tentativo di mediare tra le diverse sensazioni che ho provato, ma di lasciar parlare le due me stessa in cui mi sono scissa durante la visione del film, che alla fine si sono ritrovate d’accordo sostanzialmente soltanto su una cosa: la trama, che oggettivamente è questa: nel 1988, nel sonnolento paesino di Bobbio, un ragazzino brufoloso un po’ nerd, appassionato di horror, scopre nel nuovo numero del suo fumetto preferito, Squadra 666, similitudini inquietanti con i luoghi in cui vive; da lì a convincersi che gli orrori raccontati nel fumetto stiano accadendo nella realtà, è un attimo.
Me 1 (entusiasmo mode on): un applauso a Misischia, bravo ragazzone con la passione vera per il cinema horror, che dopo anni di cortometraggi finalmente approda al cinema con un giocattolone godibilissimo di 2 ore, una commedia horror che trasuda amore per il genere, per gli anni ’80, per gli anni ’50, per Lovecraft e tutta quella roba che manda in visibilio generazioni di nostalgici.
Il suo film è un omaggio appassionato stracolmo di citazioni e rimandi al cinema e alla cultura pop degli eighties (persino a Monkey Island; lì mi sono commossa) che non può che riempire il cuore di gioia e divertire a bestia. Un viaggio divertito e divertente sulle montagne russe di un’epoca magistralmente ricostruita in ogni minimo dettaglio. Quanto mi mancano gli spensierati anni '80! Quanto vorrei andare ancora in motorino senza casco! Quanto sono felice di non essere cresciuta a Bobbio! Evviva il cinema horror di una volta!
Me 2 (entusiasmo mode off): nel 2022, nella sonnolenta città di Milano, una cinquantenne senza brufoli ma decisamente nerd scopre nel nuovo film di Misischia similitudini inquietanti con milioni di film già visti… Capisco la frustrazione di aver girato decine di corti senza lo straccio di un quattrino, e capisco che a sto giro di soldi ne sono ballati sicuramente un po’ di più, ma due-ore-due di citazioni anni ’80 francamente sono un po’ troppo persino per me che in quella roba di solito ci sguazzo felice. All’inizio la formuletta è divertente, ma da un certo punto in poi, i personaggi sembrano riuscire ad esprimersi (quasi mai convintamente) solo con frasi celebri tratte da film, il che finisce inevitabilmente per stancare, come ogni cosa protratta oltre misura. La storia, per quanto semplice e non molto originale, è anche carina, la maggior parte degli effetti è ben fatta (da Stivaletti), la passione si vede, ma la durata del film poteva e doveva essere dimezzata, eliminando ripetizioni inutili e momenti morti.
Il problema grosso poi è che in queste produzioni si va a sbattere sempre contro l’ostacolo di una recitazione troppo amatoriale che fa afflosciare tutto; e non parlo solo dei giovani attori sconosciuti, che tutto sommato se la cavano pure meglio di una Chiara Caselli che, per quanto guest star, non è che sia proprio la Magnani (e mai lo è stata, a dirla tutta); parlo anche e soprattutto di Pasquale Petrolo, in arte Lillo, che viene osannato un po’ dappertutto per la sua interpretazione manco fosse il nuovo John Belushi e che invece sembra stare sul set come se stesse registrando una puntata di LOL in cui interpreta sé stesso che piazza freddure a raffica per far ridere gli altri concorrenti e causarne la squalificazione dal gioco. Il suo personaggio non è mai, neanche per un istante, il disegnatore di fumetti Diego Busirivici, cinico e disincantato che si ritrova coinvolto suo malgrado in un’avventura che gli farà ritrovare l’entusiasmo giovanile; no, lui è sempre LILLO il comico (che non significa necessariamente attore, come qui dimostrato) e ti aspetti solo che da un momento all’altro entri in scena col costume di Posaman.
Poi c’è un certo Giovanni Calcagno, esageratamente sopra le righe persino per un film come questo e con una cadenza forzatissima simil bresciana o forse emiliana, non ho capito, che per tutto il film ho scambiato per Ugo Dighero dei Broncovitz (ma quest’ultimo probabilmente se la sarebbe cavata meglio nei panni del villain).
In sostanza: buone premesse e buone intenzioni ma il film per me resta sullo scaffale delle produzioni amatoriali, quello dove sai di trovare i cortometraggi in cui recitano amici e parenti del regista.
Solo che qui il cortometraggio dura 120 minuti.
Cioè, per dire, immaginate di fare i giurati all’edizione 2023 del Reign of Horror Short coso, dovendovi puppare cortometraggi da 120’ l’uno. Eh.
P.S.: Col senno di poi, credo che Misischia sia un amico del Frusciante.