00 07/12/2023 12:04


Leah è un'adolescente che ha da poco perso il padre, motivo per cui sua madre è depressa e piange tutto il giorno chiusa in camera.
Fortunatamente, la giovane ha di che consolarsi fuori casa: un gruppetto di amici con cui passa il tempo e condivide la passione per il metal e l'esoterismo (no, non siamo negli anni '80).
Sfortunatamente, un bel giorno la madre si ripiglia e decide di ricominciare tutto da zero, traslocando in una casa in mezzo al nulla a miglia di distanza e sradicando la figlia dai suoi affetti e dalla sua quotidianità. Inutile dire che tra le due si crea una certa tensione, che sfocerà in un furioso litigio e conseguente inevitabile rituale con cui Leah, incazzatissima, evocherà, manuale dell'occulto alla mano, un demone che realizzi i suoi desideri di morte nei confronti della crudele genitrice.

Se Leah avesse conosciuto i protagonisti di Talk to me, saprebbe che con questa roba non si scherza; o meglio, saprebbe che questa roba è vera e se ci vuoi giocare devi sapere come funziona e rispettare le regole. Ma siamo solo nel 2017 e Leah dell'occulto non sa praticamente nulla, se non qualche nozione appresa leggendo qua e là, perciò, appena si rende conto che in effetti qualcosa ha risvegliato, col suo ritualino dilettantesco nel bosco, fa come tutti i teenager nei film di evocazione pre-Talk to me: si caca sotto e vorrebbe tornare sui suoi passi. Troppo tardi, bella.

Il pregio del film è che presta molta attenzione al rapporto madre-figlia, evitando di rappresentare i personaggi in modo stereotipato, ma soffermandosi al contrario sulle sfumature che caratterizzano nella realtà gli esseri umani. Leah e sua madre risultano in effetti molto credibili nell'esternare o reprimere sentimenti di rabbia, dolore, frustrazione ed egoismo. Affrontano la perdita di una persona amata in modo differente, faticano a comprendersi e a comunicare a causa del gap generazionale, si urlano addosso frasi spiacevoli anche se di fondo si vogliono bene.

Il difetto del film è che presta troppa attenzione al rapporto madre-figlia, così che per quasi tre quarti della durata sembra di assistere ad uno psicodramma familiare, a tratti anche un po' lento, invece che a un horror soprannaturale. Troppo poco spazio è dedicato al crescere della tensione e rari momenti inquietanti (peraltro in un discutibile stile giappo-horror) sono relegati all'ultimo atto.

So che sembra una contraddizione, ma non lo è.
L'abilità di regia e sceneggiatura (entrambe opera di Adam MacDonald, quello di Backcountry con l'orso e i pesci, per intenderci) dovrebbe consistere nel riuscire ad equilibrare ed amalgamare i due piani narrativi, soprattutto in vista di un finale che ovviamente non voglio rivelarvi, ma al quale sarebbe stato meglio arrivare con occhi e mente pieni di entrambi gli aspetti, quello soprannaturale e quello psicologico.
L'idea infatti è che dovrebbe rimanerci il dubbio riguardo la natura dell'intera faccenda, ma va da sè che la scelta narrativa toglie purtroppo il fascino dell'incertezza e il finale "a sorpresa" non riesce ad essere lo schiaffone che avrebbe voluto e dovuto colpirci in piena faccia.

Daje Adam, non c'è due senza tre, chissà che al prossimo (Out come the wolves, attualmente in post-produzione) tu non riesca a stupirci con l'horror dell'anno.