Come ho spesso detto, credo che i titoli di testa siano l’elemento che negli amatoriali viene meno considerato.
Sarà che sono destinato a stancarmi presto e di tutto, dannazione mia, questa, ma certo è che subire due minuti con una macchina che va da qui a là è snervante.
Ma perché, dico, non metterli alla fine, i titoli? Il cortometraggio è una botta, un colpo, uno sparo. Deve arrivarti secco, subito, gettarti nella storia, anche se d’atmosfera, e gettartici all’istante.
Uno sparo, dicevo. Ed è bene che arrivi in faccia.
Qui, invece, lo sparo è a salve e sparato da una pistola che mira al massimo a una gamba. Non c’è emozione, in questo lavoro.
Trovo buona la capacità del regista di mettersi nelle giuste posizioni con la camera. Succede raramente che l’occhio che i registi amatoriali scelgono debba appartenermi, mi aggradi.
Un bravo, dunque, a te che sei stato sempre dalla parte giusta, facendomi vedere quello che volevo.
E un bravo al tizio con l’ascia , che fa il suo mestiere degnamente.
Il problema principale, tuttavia, a me che il lato tecnico compete poco, è la dinamica comportamentale della protagonista.
Premetto che il significato ultimo della storia mi è rimasto oscuro. Una storia sulla cui banalità, tra l’altro, non mi soffermerò, considerate le spiegazioni date dal regista.
Parlo quindi concentrandomi sul fatto che una scappa perché c’è uno con l’ascia. Punto.
Allora, vediamo se è possibile seguirmi un momento.
C’è una che scappa da uno con l’ascia, e scappa da uno con l’ascia in un bosco, tra l’altro.
Come minimo avrà paura pure della sua ombra. Ha paura degli alberi, dei cespugli, delle foglie sotto le scarpe. Mentre corre, ha paura talmente che, ogni volta che le battono i capelli sulle spalle e sulle guance, rischia l’infarto fulminante.
Questa tizia arriva in una casa. Casa decisamente tetra, aggiungo.
Entra, c’è vuoto e silenzio. Piagnucola, s’aggira per le stanze.
D’un tratto le arriva da dietro un tipo che nasconde la testa in un cappuccio. Ma proprio così: d’un tratto. Uno sparo in faccia, appunto.
E quanto ci scommettete che, nei suoi panni, avremmo come minimo lanciato il grido più allucinante della storia, e saremmo scappati, di corsa, di nuovo di corsa, e che forse, i più coraggiosi e assieme isterici di noi, avrebbero menato pugni e calci e morsi e graffi?
Quanto ci scommettete?
Io tutto quello che ho. Che non è molto, temo.
Comunque: nessuno avrebbe detto “padre mi aiuti”. Nessuno.
Nemmeno se quello fosse stato un padre normale, rassicurante, e non il losco individuo che è nel video.
Io non so, direi che a queste cose dovremmo cominciare a pensarci.
Certo, prendiamoci cura del lato tecnico del corto. Facciamolo bene, mettiamoci musiche fiche e inquadrature toste. Curiamo l’audio.
Poi chissenefrega se i personaggi sembrano marionette. Se si muovono e agiscono secondo comportamenti improbabili, fuori di logica, propri di istinti e ragionamenti sconosciuti all’umana concezione.
Chissenefrega?
No. Perché così mi allontani. Mi fai venir voglia di guardare altro.
Certe leggerezze sono sintomo di fretta e incapacità empatica. Bisogna spremersi per mettere in scena personaggi veri. O falsi, per carità, ma in una storia in cui la falsità abbia un senso.
Quando la tizia si avvicina all’altare, e il padre prende il rosario, guardatela. Guardatela attentamente.
Immobile, braccia lungo i fianchi. Ferma.
Forse mi sono perso qualcosa, forse si voleva dire che la tizia era succube psicologicamente dell’uomo che aveva di fronte, soggiogata, ipnotizzata per qualche ragione.
Ma non s’è capito troppo bene.
Immobile, braccia lungo i fianchi. Ferma.
Sembra una che faccia la fila al supermercato, e che ci stia bene, anche, nella fila. Perché non ha nient’altro da fare.
Mica sta scappando da un pazzo con l’ascia.
Di nuovo bravo per la regia.
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"Si staranno preoccupando per noi?"
"No, non ancora. Dovevamo incontrare i camion venti minuti fa; si faranno vedere soltanto fra un'ora e mezza. Alle due, cominceranno a chiedere a
qualcuno se c'hanno visto. Alle tre ci cercheranno nei bar, e verso le quattro si arrabbieranno. Alle cinque, forse qualcuno capirà che ci siamo persi. Alle sei, il capitano penserà di chiamare il comando, e lo farà solo alle sette e mezza. Dal comando risponderanno che è tardi e
che ci penseranno domani."