00 28/05/2012 17:10
dubbioso.
Chiesa + Albanesi: una coppia di autori di talento che l’anno scorso si presentarono con un ottimo cortometraggio (Happy Birthday), e che sono stato molto contento di rivedere all’opera. Ma, ahimè, se nel 2011 il loro esordio si rivelò una bella sorpresa, quest’anno i due non sono riusciti a soddisfare pienamente le aspettative che avevo riposto su di loro, complice una storia che non credo sia all’altezza del loro genuino talento, e la malaugurata idea di usare la Voce Narrante(a prescindere dalla bravura di tale Voce).

Faccio una premessa che forse mi farà tacciare di imparzialità: io mal sopporto la Voce Narrante nei film. O meglio, la sopporto solo quando essa ha un senso, e non si limita a descrivere quello che già possiamo benissimo vedere con i nostri occhi. E in Diesis, purtroppo, ci aggiriamo intorno a questo secondo caso.
Non aiuta nemmeno il fatto che il cortometraggio sia tratto da un racconto: il tentativo di trasformare in immagini le parole di una storia già di per sé deboluccia è infatti riuscito solo a metà, e affidato appunto a questa incorporea Voce, lì dove sarebbe stato forse più proficuo vedere una trasformazione totale del testo in immagini. Del resto, non è forse su questa mutazione che il cinema trova il suo senso?
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Ci sono, ovviamente, film in cui la Voce Narrante è un espediente che funziona. In alcuni di essi la Voce ha un senso, in altri, semplicemente, è una scelta stilistica. (ovviamente non sono qui ad insegnare il mestiere ai registi, che sono bravi e si vede: le citazioni sono per far capire il mio punto di vista)
E poi, la base di alcuni di quei film (e di questo corto) è un libro o un racconto, e uno dei modi per tradurre un racconto in film è appunto…farlo raccontare a qualcuno. Ma per me qui in Diesis ci troviamo ad avere più difetti che pregi: la storia è prevedibile, la Voce Narrante non dice nulla che non si sarebbe potuto comunicare in altro modo, sono pochi i motivi che ne giustifichino la presenza all’interno del corto, e le immagini sono solo supporto visivo al testo.
“Sentivo caldo”, dice la Voce. E il protagonista si sfila la camicia dai pantaloni. Troppo poco, e troppo didascalico ( e tra l’altro il fatto che la sua donna sia morta si capisce ancora prima che inizi la storia, al minuto 2:02, alla prima riga di dialogo, quando egli dice “decido di lasciarla sul divano”; e da quel momento in avanti il racconto perde gran parte della sua forza).
Riguardo la storia, si tratta dei soliti ragionamenti del solito deviato mentale che crede di aver trovato la felicità nel ritrarre la sua donna morta e insanguinata.
Perdonatemi, ma queste fantasie mascherate da profonde verità intellettuali non hanno per me alcun fascino. Le uniche persone che potrebbero trovare più bella la propria donna da morta piuttosto che da viva sono dei folli totali, dunque che senso ha esaltarne le gesta? Qual è il senso del corto? Che messaggio ci offre? L’horror, il vero horror, non quello esagerato o fracassone o da nerd, quando pretende di essere serio dovrebbe essere anarchico,è vero, ma svelare le follie della normalità, le storture della società civile, i dilemmi etici, e non solo esaltare le figure dei folli solitari ammantandole di fascinosi mantelli. Almeno, secondo il mio modestissimo parere. Questo pazzo fotografo, per quanto ben costruito, non rimanda ad altro che a se stesso. Non dice nulla del mondo… non so, non mi convince. Forse sono io che non sono riuscito ad intendere un messaggio sottinteso, e sarei contento di essere smentito (le mie recensioni non sono mai granitiche), ma per ora la mia idea è questa. E lo dico a malincuore.

Comunque, questi sono i due problemi che a mio giudizio il corto si trova ad affrontare, e che rischiano di mettere in ombra una regia professionale al massimo, un ottimo uso delle luci, delle buone musiche e un bel montaggio, da veri professionisti. E infatti la professionalità a questi due non manca sicuro; in effetti la parte più riuscita di tutto il corto, veramente superiore, è quella che vediamo nello scorrere dei titoli di coda, durante i quali i due - liberi dalle catene indotte dal racconto ormai terminato - ci mostrano un ritratto di ragazza davvero significativo, veramente bello, che quasi riesce a dare un senso e a rendere affascinante tutto ciò che abbiamo visto fino a questo momento, trasformando la bambola-vittima da manichino di carne a persona viva e reale. E qui torniamo al discorso di prima: è come vedere una successione di foto, come vedere lei raccontata dagli occhi di un innamorato….Fotografia e Racconto di colpo trasformati in immagini, trasformati in Cinema, e questa volta la missione è perfettamente riuscita. Se a queste immagini avessimo sovrimpresso una Voce Narrante, avremmo aggiunto qualcosa alla loro bellezza? Assolutamente no. Anzi, forse le avremmo rovinate.
Abbiamo perciò due corti in uno: il primo, con tutti i problemi che ho appena descritto e che termina coi titoli di coda; e il secondo, quello davvero personale, che salva l’intera opera, la rende molto migliore, e dimostra (ma non abbiamo mai avuto alcun dubbio in proposito) che Chiesa ed Albanesi sanno raccontare per immagini in maniera ottimale.

In conclusione, il mio giudizio sulla bravura dei due rimane immutato, anzi in qualche modo rafforzato. Unica pecca la scelta della storia, forse non alla loro altezza, e l’eccessivo didascalismo nella sua messa in scena.
Ragazzi, siete davvero bravi. Continuate così.

PS: ovviamente, una lode al Narratore, anche se ovviamente non c’è certo il bisogno che venga a dirvelo io…