00 30/05/2013 00:00
Chi ha tanto da dire, e sa come dirlo, spesso è breve, conciso e pratico. Che bisogno c’è infatti di tanta costruzione visiva, di tanti dialoghi didascalici, di infiniti crescendo di tensione, di colpi di scena tanto ricercati quanto inverosimili, di stili e citazioni buttati a vanvera o di elementi aggiunti (o peggio RIPETUTI) tanto per fare minutaggio quando si possiede quella che è in fondo l’unica cosa che conta, e cioè avere le idee chiare?

E che le idee chiare Baggiarini le abbia pare ormai assodato, perlomeno nei “cortissimi”. Ce lo fece intuire l’anno scorso col delizioso “Amarmort”, purtroppo solo uno spunto ma certamente originale e affascinante, e ce lo fa capire ancora meglio quest’anno con “My Art Deadcò”, un brevissimo viaggio in un’ iconografia horror e di costume immediatamente riconoscibile, comunicata con sicurezza mai vacillante, e dai contenuti chiari, decisi, vincenti e spiazzanti.

Più di tutto stupisce la forza con la quale egli mette in moto il suo corto: niente fronzoli, niente dialoghi, niente premesse arzigogolate; in un certo senso si può dire che la sua opera si rispecchia nel suo protagonista, il quale ha uno scopo ed è intenzionato a portarlo a termine senza perdersi in chiacchiere, con i pochissimi (ma efficaci e quantomeno originali) strumenti a sua disposizione e senza guardare in faccia a nessuno. Forse esagero nel vedere in questi due minuti scarsi un’esatta immagine di quello che dovrebbe a volte essere un cortometraggio di genere (idea semplice ma efficace, regista artistica senza però esserlo con superficialità…) ma la citazione (nella citazione nella citazione) mi sembra quasi d’obbligo.

Leggo nella biografia che nella sua versione originale questo corto era un promo per il ToHorror Film Festival…in effetti è qui che forse si può trovare l’unico “difetto” di questa opera: è una sorta di sigla d’apertura, per cui è parzialmente limitata nello sviluppo da ciò per cui è stata costruita… ma la resa finale è veramente ottima. Si parla di arte, di arte horror, e lo si fa adattando tantissimi stilemi del genere e immergendo il tutto in una bellissima atmosfera anni ’70. Una sigla quanto mai metanarrativa, che a mio parere non ha comunque niente da invidiare a corti più complessi, in quanto riesce a comunicare tantissimo in un tempo più che ristretto.

Dirò di più: io, che di solito sono sempre fastidioso e incontentabile quando si tratta di “storie” e “trame”, sono più che soddisfatto di questo soggetto all’apparenza esile e banale: in questo caso non è tanto ciò che si dice l’importante, ma il messaggio che passa.

Ahimè, il suo essere “sigla” forse lo limita, ma il corto è davvero - davvero - entusiasmante. Vivissimi complimenti a Luca Baggiarini, che in quanto a tecnica, stile, ironia e capacità comunicativa propone uno dei corti migliori di questa edizione.