come una goccia d'acqua
“Operazione Terrore” (posso evitare di citare Bava e andare avanti?) si propone come omaggio (ennesimo del genere) ai famosi registi thriller/horror italiani dei tempi che furono. Operazione lodevole, ma credo ormai fuori tempo massimo; soprattutto oggi, in anni in cui il cinema italiano di genere, soprattutto horror, dovrebbe smetterla di guardarsi l’ombelico e fare finalmente quel passo avanti che tutti aspettiamo e che invece stenta ad arrivare. Ma questa è una considerazione personale, e poco altro. Veniamo invece al corto.
Mah, sono perplesso. Pur non mettendo assolutamente in dubbio la buona fede del regista, la sua passione, la scarsità di mezzi e di tempo (che però come scusanti valgono solo relativamente), il risultato finale non mi è parso molto convincente. Forse può andare la regia (ci sono trovate, soprattutto quella iniziale della passeggiata del protagonista verso il parco, che mi sono piaciute molto) ma credo che la storia si sia rivelata troppo stilizzata, troppo schematica per poter lasciare una qualsivoglia impronta nella mente dello spettatore.
Che cosa di preciso in questo corto dovrebbe ricordare i maestri del passato? Forse le luci rosse usate per illuminare gli interni? Perché in realtà c’è poco altro: l’ambientazione è moderna per non dire anonima (un parco vuoto, una casa vuota….interessanti solo le inquadrature di ambienti) e la storia manca sia del vigore sia della seducente approssimazione (Colta o Volgare) che avevano quei vecchi film. Ammetto anche che – dopo aver visto la locandina con quel faccione – mi sarei aspettato di vedere anche dell’ironia, ma non credo di averla colta.
La trama: un giovane decide di andare al parco, un tizio gli muore tra le braccia, il giovane si spaventa e fugge, si chiude in casa cercando di non pensare più alla faccenda, ma il tizio morto evidentemente se l’è presa e uccide il protagonista colpevole di non averlo salvato.
Fin qui tutto è chiaro, ma lo è un po’ meno il motivo – lo dico senza ironia e senza cattiveria – per il quale questa storia dovrebbe interessarmi. E, come ho già detto sopra, ne è complice anche il fatto che la storia è narrata secondo uno schema talmente semplice da parere fatto di nulla.
I personaggi sono delle figure vuote, le loro azioni e motivazioni non hanno che una vaga spiegazione e nessun approfondimento, i colpi di scena sono pilotati e prevedibili; e il finale è semplicemente un “punto” messo alla fine della frase. Soprattutto aleggia l’impressione che i due attori compiano le loro azioni per un unico motivo, e cioè che esse sono richieste dalla storia. Non vien fatto alcun tentativo per fornire delle basi a tali azioni, delle spiegazioni, degli approfondimenti, cosa che non giova per nulla alla trama, e toglie ogni forma di identificazione.
Perché il protagonista va al parco all’inizio del corto? Perché deve andare al parco. Perché si ferma durante la passeggiata e si guarda intorno? Perché doveva stare fermo in modo che il tizio gli cadesse addosso. Perché il tizio sta male? Perché doveva stare male (ma è malato, ferito, accoltellato? Ha avuto un ictus, un’emorragia? Non si sa). Perché il protagonista scappa? Perché doveva fare in modo che il fantasma lo seguisse fino a casa (ma è plausibile mostrare una persona qualunque che, investita da un morente nel bel mezzo di un parco cittadino, in un ambiente tranquillo e a lui conosciuto, si faccia prendere a tal punto dal panico da mollare un tizio agonizzante a terra e correre fino a casa senza girarsi neppure indietro una volta, o senza tentare di chiamare un’ambulanza, neppure dalla tranquillità del proprio salotto?). Insomma, sono molte le cose che avrebbero dovuto essere… non dico spiegate, ma quantomeno offerte al pubblico con un minimo di approfondimento.
Mi spiego con un esempio di trama alternativa.
Il protagonista tradisce la moglie. Le ha detto di essere fuori città per lavoro (le telefona per dirglielo) e poi chiama l’amante per concordare un appuntamento con lei al parco cittadino. Un tizio si sente male e gli cade addosso. Il tizio soffre di angina, ha avuto un improvviso attacco e non riesce a tirar fuori di tasca le sue pillole, e prega il protagonista di dargliele. Ma il protagonista si fa prendere dal panico: se qualcuno si accorge che lui è lì, o se chiama l’ambulanza, o se arriva la polizia, o se arriva la TV, sua moglie potrebbe scoprire che lui non ha lasciato la città ma le ha mentito….e allora egli abbandona il morente e fugge in tutta fretta, magari portandosi via per sbaglio la scatoletta con le pasticche. Il malato di cuore muore, e ovviamente incolpa il protagonista, e va come fantasma a casa sua per “riprendersi la scatoletta” che appare dappertutto, nei posti più impensati, rendendo sempre più nervoso il protagonista fino all’apparizione vera a propria del tizio morto che lo assale e lo spaventa. Il protagonista sviene… e il giorno dopo viene rinvenuto cadavere con la bocca completamente piena di pasticche per il cuore, migliaia, che lo hanno soffocato.
Ora, non dico che questa storia sia un capolavoro, ma se non altro offre personaggi più approfonditi, offre dilemmi morali, offre agganci tramite i quali il pubblico può decidere per chi parteggiare, chiedersi cosa avrebbe fatto essendo in quella stessa situazione, offre motivi di empatia con i vari personaggi ed inserisce elementi (le pasticche) utili alla trama che assumono via via un ruolo inquietante.
Una storia simile? “La goccia d’acqua” di Mario Bava, in cui lo spirito della vecchia torna a molestare la donna che le ha rubato l’anello.
Ecco: questo avrebbe dovuto fare questo corto per poter essere interessante. Spiegarci, narrarci, incuriosirci, raccontarci i suoi personaggi e le loro azioni, a prescindere dal concetto di “omaggio” o non omaggio. Questa cosa però non è stata fatta; e per quanto il corto sia ben costruito, realizzato anche con mestiere (avrei tolto le soggettive però, spesso sono solo messe lì a fare casino), fotografato degnamente, e recitato seriamente dai due esordienti….non lo si più definire un’opera completa, in quanto manca di anima, sentimento, e cita rimanendo troppo sul vago per cogliere nel segno.
Non dubito che il regista si sia divertito a realizzarlo, e ne sia contento. Sono anche contento di aver visto il suo prodotto, e – come spesso faccio – ricordo che per me un corto girato in più è sempre e comunque una vittoria: puoi essere il più gran genio del mondo, ma se stai sul divano a dormire vali meno di un onesto appassionato che si mette in gioco, spende tempo, soldi e fatiche per mettere in piedi un’opera.
Un saluto!