00 31/05/2014 14:39
viva l'italia (?)
Tratto da un libro, “Campania Mortis” cerca di trasporre su pellicole i temi, le ambientazioni, le storie e i significati contenuti nella storia originale. La cosa – a tratti – si vede: si ha di tanto in tanto l’impressione di assistere a scene estrapolate da un contesto più grande, stralci di un discorso molto più ampio che per forza di cose è stato riassunto, sfrondato, ristretto. Ma va assolutamente detto che il regista ha compiuto un ottimo lavoro in questo processo di riduzione, non sforzandosi di attenersi a un unico canovaccio narrativo ma procedendo per accumulo di materiale a volte senza legame con la storia principale, ma con il pregio di riuscire ad evocare l’atmosfera e il mondo fittizio nel quale l’avventura si svolge. E che mondo! L’italianissima “terra dei fuochi”, da sempre martoriata dal problema dei rifiuti tossici, dei tumori e delle malattie che da essi derivano. L’autore del film – e lo scrittore del libro – fanno semplicemente un passo in più, inserendo in questo contesto già instabile il “rifiuto definitivo”, il residuo tossico che trasforma la gente del posto in morti che camminano, ne più ne meno ciò che sta accadendo nella realtà.

Horror che ha dunque molteplici elementi di pregio, questo “Campania Mortis”. Prima di tutto l’ambientazione italiana e la GRADITISSIMA critica sociale; poi il messaggio contenuto nelle immagini, e infine l’azzeccata scelta di frammentare la storia per darne un ritratto che fosse il più vasto possibile con il minimo spreco di effetti e grandiosità. Ma non finisce qui: è buona la regia e buono il montaggio (a parte alcuni stacchi un po’ troppo repentini). Sono OTTIMI gli effetti speciali (a parte il plasticoso feto mutante abortito, immagine forte ma secondo me troppo esagerata, troppo gratuita per raggiungere il suo obiettivo di denuncia sociale), e a mio parere OTTIMA anche la scelta di mantenere la trama a un livello più ristretto, più “intimista” se così si vuol dire. L’invasione infatti non è mai mostrata direttamente, o nella sua GRANDEZZA; vengono invece scelte delle scene estrapolate da un contesto più grande, della lotta contro gli zombie è mostrato il lato personale, umano, circoscritto; e più che l’evolversi della lotta contro i morti a noi spettatori è dato vedere solo delle situazioni tangenziali all’evento principale, il quale rimane fuori fuoco. E’ un invasione vista dalla parte del singolo. Scelta sicuramente motivata dal budget, dall’incapacità di mostrare un esercito di morti che assedia città bruciate… ma che pure è portata avanti in maniera molto intelligente, e che forse rende e comunica molto di più.

Qualsiasi regista privo del talento e della finezza necessaria, affrontando una storia del genere, avrebbe sicuramente messo in piedi un’incredibile invasione usando quattro comparse a significare migliaia di zombie, e una casetta scalcinata per significare un’intera città. Qui invece si compie il percorso opposto: si stringe l’obbiettivo sui singoli, e si lascia da parte l’irriproducibile GRANDE storia per narrarne significativi effetti collaterali. Molto ben fatto, molto ben pensato.

Recentemente, cortometraggi con zombie di taglio “esistenzialista” hanno iniziato a prendere piede. Me ne ricordo in particolare un paio; in uno di essi un’intera apocalisse zombie è narrata attraverso il percorso di un singolo morto vivente, un impiegato di un parco divertimenti chiuso in un costume rosa da coniglio (mi pare) il quale una volta morto percorre per mesi e mesi il suo paese. Nell’altro, un padre morso che deve trovare il modo di salvare la figlia neonata prima di trasformarsi in zombie.

Ci sono echi di questi corti in “Campania”, e devo dire che anche in questo caso l’effetto è stato soddisfacente. Di grande impatto anche il finale, con la ninna nanna cantata ad una spiaggia di cadaveri bruciati e sommariamente seppelliti; forse la parte più “alta” di tutta l’opera.

Dirò di più: il significato e gli obiettivi di questo breve film sono così elevati che mi pare anche inutile mettere in luce i due o tre aspetti della trama che non mi hanno convinto del tutto. Sarebbe quasi un dispetto nei confronti di due autori che così bene hanno saputo integrare l’italia e la realtà con il mondo dell’orrore. Mi limiterò a citare l’unica cosa che ho trovato un po’ didascalica: nel finale i cacciatori di morti fanno gli sbruffoni, ma quando si accorgono che il tipo che hanno appena ucciso con crudeltà ha con se una foto (i suoi figli? Non so, non ho capito bene ma suppongo si tratti di loro) di punto in bianco si pentono del loro comportamento. Vuol forse dire che fino a quel momento i tre non avevano mai riflettuto sull’aspetto umano dell’invasione? Sul fatto che le persone che stanno uccidendo erano fino a poco tempo prima i loro vicini di casa o paesani? E dopo tanta morte e distruzione basta una semplice foto a metterli di fronte con sgomento ai loro errori? L’impatto che tale foto ha su di loro mi è parso quasi troppo enorme per essere realistico, così come mi è parso poco realistico che tre persone abituate ormai a maciullare cadaveri di tutti i tipi si trovino di colpo così indifesi di fronte alla “rivelazione” che quell’immaginetta porta con se.

Riconosco comunque che la scena era costruita appunto per mettere l’accento sull’ umanità del “nemico”, fino a poco prima vittima tanto quanto chi ora è sopravvissuto ed è divenuto la loro preda. In questo senso la cosa fuziona… è solo l’eccessivo didascalismo che non mi ha molto convinto; ma credo che – con un minutaggio così breve a disposizione – scelte come questa siano state inevitabili.

In definitiva, “Campania” è davvero un ottimo corto. Sia per come è girato, sia per l’alto impatto di alcune scene (tra tutte la bellissima sigla coi telegiornali, i cittadini che premono per uscire dalla città, il vagare del protagonista morto, la donna sotto il tunnel, la donna armata di coltello che piange dietro la porte… e ovviamente il malinconico e riuscitissimo epilogo)sia per il modo originale e profondo col quale è stata narrata la storia, sia per l’italianità molto realistica e per il messaggio di fondo.

Davvero un’opera della quale andare fieri. I miei complimenti.