00 23/06/2015 01:28
Vidi con piacere il lavoro di Raffaele Pastrello Miracolo Veneto nella scorsa edizione del Festival e, stavolta, privo del collega Tassone, il regista ci propone The Night Of The Houngan (Houngan che imparo essere un sacerdote haitiano), un cortometraggio molto più breve del precedente.

Questi corti che io denomino “pillole” hanno un gravoso compito, ossia il condensare in una breve durata una trama, o per lo meno un senso compiuto. Cosa che non tutti riescono a fare, scegliendo questo formato breve che così poco consente lo sviluppo di idee complesse.

Devo dire che la cosa è parzialmente riuscita, grazie alle frasi di apertura e di commiato sopratutto, quando mi si spiega che il sapere è un continuo percorso fatto di prove ed errori. Va bene, ci posso stare. Siamo di fronte quindi ad un qualche tipo di scienziato/dottore (oppure proprio un Houngan) alle prese con quella che si intuisce essere non la sua prima vittima e, dato il fallimento, nemmeno l’ultima, per il raggiungimento di un qualche oscuro scopo medico.

Diciamo che non è proprio una trama, ma è comunque quel “senso compiuto” che cercavo, un contesto. Quindi un bravo a Pastrello per avercelo messo.

Devo dire che mi piacque di più Miracolo Veneto come “cortometraggio in generale”, mentre se entriamo nello specifico tecnico è innegabile che con The Night Of The Houngan si sia cresciuti molto. Quindi non sempre i miei gusti personali coincidono con l’oggettività delle cose.

La regia ad esempio, è oggettivamente impeccabile. Se già il primo lavoro di Pastrello godeva di inquadrature particolari (ricordo ancora l’uccisione a colpi di pala vista dall’interno dell’auto) stavolta si è persa anche quella minima patina di amatorialità in favore di inventiva, sicurezza e pulizia delle riprese. Dai coinvolgenti titoli iniziali fino ai titoli di coda si vede proprio una mano che pare essere quella di un regista vissuto.

Se per caso l’idea di Pastrello per un suo terzo lavoro dovesse essere quella di unire l’ottima capacità registica acquisita, per applicarla ad un corto più complesso, di durata un poco maggiore (anche solo 10 minuti) dotato di un’idea (sceneggiatura/soggetto) originale, mi sento di dire che quel terzo lavoro rischierebbe davvero di fare il botto. O per lo meno io ci punterei sopra, se giocassi ai cavalli.

Ma adesso diamola una piccola smazzata a Raffaele, altrimenti ne ho solo parlato bene e sembra che siamo d’accordo:
Va bene che siamo in Veneto e l’Inglese non si parla neanche per scherzo, ma santo cielo ragazzi non vi ha obbligato nessuno a scrivere la traduzione, lo avete scelto voi, e allora perché scrivere “beleaving” e “knowlwgdment”, che sono delle parole che NON esistono? Due castronerie in otto parole, una all’inizio e una alla fine del corto, si potevano evitare facendo un giretto su google translate di 10 secondi. Abbastanza grave ed imperdonabile.

A conti fatti un corto che si fa guardare molto bene, di senso compiuto anche se non troppo articolato, che mostra però una mano registica, attenzione, davvero da tenere d’occhio.
But, sorry, we don’t speak English.