00 01/07/2015 00:35
Sebbene IN FABULA sia il corto di Firpo al quale sono più affezionato, e che continuo a ritenere il migliore in quanto a messaggio, contenuti e immediatezza, devo dire che questo ARBAIT si può definire il suo corto più riuscito, in quanto come tecnica narrativa, come complessità e come sviluppo della trama è nettamente superiore.

Per rendersene conto basta guardare tutta la scena iniziale che vede Vagnard entrare nel negozio, e attendere per tutto il giorno l’arrivo di un cliente – scena tutta basata sulle immagini, nel silenzio assoluto – e il momento in cui il cliente arriva davvero, e scambia diverse battute con il protagonista.
Ecco: i due momenti sono perfetti. Il primo perché descrive con grande mestiere una situazione, un ambiente, uno sconforto, un passare del tempo lento e tormentato. Il secondo perché racconta in maniera estremamente realistica e con dialoghi praticamente perfetti il dissidio tra i due personaggi, il venditore e il recalcitrante cliente (che quasi quasi sarebbe venuta voglia di mandare in quel posto anche a me).
E quando poi, dopo essersi presa tutto il tempo che gli occorreva, arriva la “svolta di trama”, ecco che ritroviamo con la massima disinvoltura (anche se il grido del mostro, davvero bruttino e senza anima, lo avrei volentieri cambiato con qualcosa di più… non so, espressivo, significativo) in un mondo fantastico che poi è quello di Arbait, il mostro che divora i suoi figli e dal quale non c’è scampo.

Per chi non lo sapesse, in tedesco la parola Arbeit significa LAVORO. E credo basti questo a spiegare tutto il senso – o perlomeno UNO dei sensi – di questo corto, di certo uno dei migliori che ho visto in questa edizione del FEST, perlomeno fino a questo momento.
Arbait, il terribile mostro, sembra davvero non lasciare via di scampo, e la sua essenza favolistica (più che fantasy), è un altro elemento tipico del cinema di Firpo, da sempre uno dei migliori. Firpo è, in effetti, un regista solo “prestato” all’horror, che usa la paura per parlare d’altro, e che “sacrifica” spesso la logica per dare vita a trame e situazioni che gli permettono di esprimere al meglio la sua natura e le sue riflessioni del momento.

Così accade qui, ma in maniera particolarmente riuscita, direi. E anche il finale, quando arriva, non delude affatto, anzi ha il pregio di tentare di smitizzare anche il (purtroppo) immancabile “spiegone”, croce e delizia di ogni autore e di ogni spettatore, elemento che meno lo vedo e meglio sto, soprattutto quando pare sforzarsi di spiegare una barzelletta a chi, in realtà, l’ha già capita.

Ho apprezzato in ogni caso l’integrità del personaggio di Vagnard, che anche di fronte all’incredibile continua ad aggrapparsi alla sua disillusione, concedendosi solo nell’ultima scena di credere finalmente ai suoi sogni. Francamente, a questo corto non si poteva chiedere di più.

E’ tutto perfettamente logico in questo corto? Non so. Come fanno ad esempio i due fratelli uccisi dal Lavoro essere vivi e vegeti nel nostro mondo, nel quale volevano fuggire? Non è ben chiaro, e non so quanto sia possibile. Eppure, se c’è una cosa che Firpo mi ha insegnato, è proprio il fatto che non bisogna sempre giudicare ogni cosa con il metro da sarto, ma bisogna anche sacrificare un po’ di razionalità per potersi godere in pieno la visione di un’opera.

Come e perché i due fratelli siano scappati non importa poi tanto. Forse la temporanea morte di Arbait ha permesso loro di sfuggire alle sue grinfie. Ma quel che importa davvero è che ce l’abbiano fatta, e che prima di iniziare la loro nuova vita siano venuti ad avvertire il loro salvatore, sebbene “cannando” clamorosamente il significato della metafora… oppure beccandoci in pieno? Arbait, dunque, è il duro mondo del Lavoro che macina tutti e non risparmia nessuno, oppure è la semplice materializzazione dello sconforto umano, che vive nelle cantine della nostra anima e prospera sulle nostre sofferenze?

Chissà, magari è entrambe le cose, o nessuna di esse. Ma poco importa: quel che conta alla fine è esserci divertiti.
Bel lavoro questo di Firpo, che lo conferma ormai come regista più che dotato, capace di grande tecnica, ottimo comunicatore, mai esagerato o inutilmente violento, sempre (auto)ironico, personale e capace di tirare fuori il massimo da un budget minimo.

Ottimo lavoro davvero.