00 23/06/2015 01:14
Party Time di Gabriele Orsini è un corto di una ventina di minuti appartenente anima e corpo al sottogenere horror denominato slasher, e segue i dettami di tale genere sotto ogni virgola, nel bene e nel male.

La caratteristiche salienti di questo genere si possono riassumere nella presenza di un Body Count elevato a livello di vittime, scarsità di trama, con il “fattore divertimento” che viene tenuto alto solo se il prodotto è uno di quelli in grado di dare almeno un buon quantitativo di azione, suspense e sangue nel corso delle uccisioni. Questo pressappoco è lo slasher, riassunto.

Considero Party Time, come corto di genere, tecnicamente sufficiente ma molto, molto semplice.

Lo svolgimento è elementare, molto “base”, che copia la formula di uno Scream (e non solo la formula, addirittura prende pari la maschera) presentandoci un gruppo di ragazzi in una località isolata che muoiono a poco a poco per mano di uno di loro che, indovinate chi sarà? L’unico al quale è stata affidata una nota di background.
Infatti dei personaggi noi sappiamo esattamente:
-Niente
-Compie gli anni
-Niente
-Niente
-Ama i film horror e viene deriso

Non è esattamente un lavoro da investigatore farsi un’idea della risoluzione, anche a soli pochi istanti dall’inizio del massacro.

Il “problema” ad avere a che fare con un lavoro molto semplice in fatto di trama è che esso dovrebbe cercare di spingere molto sotto altri fattori, almeno, per compensare, come per esempio la brutalità delle uccisioni o la suspense. Devo dire che il ritmo di Party Time è sostenuto, non ci si ferma un attimo, e nel fare questo si dosano bene anche le musiche di circostanza, quindi Orsini dimostra di saper gestire una vicenda dinamica, però non c’è del vero mistero, ed il regista ha scelto di non esagerare (e visto il genere, secondo me sbagliando) nell’enfasi delle uccisioni.
E’ tutto troppo pulito, in un corto che a parer mio avrebbe dovuto per lo meno spingere molto sull’impatto visivo, visto che regala poco a livello intellettuale.

Oltre alla trama poi, vi è anche qualche ingenuità nell’esecuzione.
Questo killer sembra essere letteralmente ovunque! Questo ragazzo riesce a vestirsi, svestirsi, telefonare, ammazzare, sbucare da una stanza, risbucare da fuori, salire dal pianterreno (anche se si trovava al secondo piano dieci secondi prima), farsi credere morto, il tutto ovviamente perché da copione deve essere una presenza inarrestabile ed uccidere tutti, ma cavoli, è un vero velocista, da olimpiadi.

Quindi, tutto sommato, Party Time è un buon esercizio di stile nel campo dello slasher di base, che a fine visione lascia però un po’ il tempo che trova. Per quanto più che discreta sia la regia e la messa in opera generale infatti, si sta’ comunque assistendo ad una visione nella quale la parola che regna sovrana è “generico”.

Non si capisce inoltre molto bene perché il ragazzo sia immortale, resuscitando egli per ben due volte dopo aver subito un colpo di pistola. La prima volta lo si vede chiaramente, in quando il ragazzo ricompare per poter così svolgere il dialogo “di spiegazione” con l’ultimo superstite, e poi la seconda volta lo si intuisce dagli ultimi due secondi di video, quando si introducono i titoli di coda con l’ultima vittima sorpresa ad essere nuovamente sotto attacco alle spalle mentre esce di casa.

Forse l’omaggio che il corto fa’ al genere scelto non si è voluto limitare al panorama degli Scream e dei film “realistici” ma si è voluto estendere anche al sovrannaturale, presentandoci la nascita di un neo Jason Voorhees,l’immortale ed invulnerabile protagonista dei Venerdì 13 che non muore mai.
In questo caso, fosse egli un killer sovrannaturale, si potrebbe anche spiegare la sua onnipresenza in ogni angolo della casa nello stesso momento (oltre all’immortalità), anche se, in questo caso, mancherebbe un elemento narrativo nella storia che introduca per bene l’elemento sovrannaturale.

Comunque, immunità ai proiettili a parte, il corto è sufficiente per quel che riguarda il colpo d’occhio generale di fine visione, semplicemente chi vi scrive pensa che uno slasher di stampo molto elementare a livello narrativo, per funzionare debba per lo meno dare qualcos’altro allo spettatore, per esempio essere pieno di sangue (pensiamo ad un Hatchet, elementare come pochi, ma godibile) qui invece stiamo guardando un qualcosa di molto semplice, lineare, e che non osa spingere sotto nessun altro fattore per compensare, dando così vita ad un prodotto poco incisivo, che scorre bene, ma che si dimentica altrettanto bene.