00 01/07/2015 00:30
Pescando a piene mani da Scream, Saw, Evil Dead (nel finale) e da un mucchio di film horror americani, di quelli che vedono il solito gruppo di vittime chiuse in un luogo isolato con un serial killer, Party Time tenta l’azzardo di dire qualcosa di nuovo, o quantomeno di personale, riguardo tali tematiche, risultando però poco personale e poco ispirato, quando non poco logico.
Gli attori se la cavano, più o meno. Soprattutto il tizio con la camicia nera, Giovanni se non sbaglio, che è forse l’unico a riuscire a ricavare da se stesso un personaggio che non sia anonimo. Ma lì dove il corto fallisce è nella trama, che si rivela stanca, derivativa e fin troppo lineare.

Quattro tizi vanno a una tristissima festa di compleanno alla quale non partecipa nessuno. Improvvisamente però appare un serial killer, che li attira uno dopo l’altro in trappole fatali, alle quali soccombono senza via di scampo. L’identità del serial killer si individua facilmente sin dall’inizio, in quanto segue delle regole di sceneggiatura che chiunque conosce, e che ogni autore un minimo “scafato” tenterebbe di evitare: uno, e uno solo, dei protagonisti si allontana con una scusa, e di lì a poco ecco il primo omicidio. Successivamente, quello stesso personaggio muore, in puro stile “Dieci Piccoli Indiani”, ma è lampante pensare che abbia finto la morte solo per sviare i sospetti degli spettatori da lui, e per potersi muovere più liberamente in giro per la casa.
Cosa buffa: cosa sarebbe successo però se i suoi amici, invece di limitarsi a lasciarlo fuori dalla casa, lo avessero raccolto e riportato all’interno? Ma fortunatamente questo non accade, e il nostro assassino è libero di continuare a fare del male, approfittando anche del fatto che i suoi amici evitino accuratamente di chiamare la polizia, o non abbiano neppure il coraggio di sfondare una finestra per poter fuggire come chiunque sano di mente avrebbe tentato di fare.

A parte questo, aggiungiamo che fare uscire di scena il personaggio che interpreta la parte del “regista” horror preso in giro dagli amici, e poi fare apparire un killer telefonico che – tra l’altro usando un distorsore di voce davvero difficile da ascoltare – inizia a fare domande sui film horror non è una trovata molto brillante, così come non lo è quella di fargli dire (forse per giustificare le sue continue apparizioni e sparizioni su e giù per la casa?) che ci sono ben SEI serial killer in paese e che sono finanziati dagli americani, i quali forniscono loro strumenti e tecnologie adatte al loro ruolo (ad esempio un altro distorsore che – immagino – da al killer la capacità di imitare le voci di tutti gli amici morti). Trovata poco plausibile in quel contesto, e troppo semplicistica.

Insomma, Party Time ci prova, ma non arriva oltre una sceneggiatura base, priva di mordente, e del tutto telefonata, che si risolve in una serie di omicidi che portano al solito finale telefonatissimo e fiacco. Neppure il contro-epilogo riesce a salvare un prodotto concepito sicuramente con le migliori intenzioni, e che ha già vinto proprio per questo, ma che necessita di molta più “carne al fuoco” per risultare appetibile.
Unica nota positiva una regia abbastanza dinamica.

[Modificato da osmanspare 01/07/2015 00:30]