00 23/06/2015 01:11
Il regista Valerio Sperati si presenta al Festival con un soggetto del buon Fabio Firpo, proponendo un fantahorror comedy chiamato Don Cristino, l'Eretico nel quale il caratterista Vagnard Corvo (che vediamo di nuovo alle prese con un altro demonio nell’Orrido mondo di Arbeit, altra opera in gara) veste i panni di un prete decisamente particolare che, assieme al suo assistente, risolve casi di origine oscura.

I toni dell’opera sono molto indirizzati, più di ogni altra cosa, ad esaltare l’aspetto comedy del corto, con tutta la narrazione disseminata di botta e risposta e freddure quasi dietro ogni angolo, quindi la visione ha un tono leggero, il cui scopo non è spaventare, shoccare o terrorizzare, ma farci assistere ad un prodotto dai toni comico/grotteschi.

Fare commedia (una commedia che funziona) è forse la cosa più difficile di questo mondo, sia a livello non professionale che quando parliamo di opere di prim’ordine. Far ridere è molto più difficile che far piangere, o provocare spavento. Ogni persona, se si prende un momento per pensare, ammetterà che nel panorama televisivo e cinematografico riesce a racimolare 5-6 comici che lo fanno davvero tanto ridere, mentre molti di più sono quelli che provocano appena un sorriso, o lasciano indifferenti. Questo perché far ridere, mi ripeto, è davvero un’operazione molto complessa, sia a livello di elaborazione delle battute sulla carta che poi nell’esporle.

Don Cristino, l'Eretico è un brutto corto? Certamente no, ha molti pregi oggettivi (che indicherò successivamente).
Don Cristino, l'Eretico è una buona opera comica? A me, purtroppo, non ha fatto mai sorridere.

Questo corto ha funzionato sul sottoscritto per lo più solo nella parte centrale, non a caso quella più “seria” per così dire, dove si accantonano per un attimo i toni ultra leggeri e si entra all’inferno, dove abbiamo un combattimento, condito da spiegazioni e sviluppo dei personaggi (per esempio la rivelazione sull’origine demoniaca di Don Cristino) fino a quando si ritorna nel mondo reale.
Ma tutta la parte iniziale e anche la conclusione, quando si dialoga molto, dà origine a dei siparietti pieni di freddure “da prete di campagna” per usare un’espressione che è girata parecchio nel corto, con dialoghi che, a me personalmente, non hanno strappato nemmeno un sorriso.

Oggettivamente però, dicevo, siamo di fronte ad un’opera non malvagia.

Molto buona è infatti la sceneggiatura, dalle mani sapienti di Fabio Firpo, persona che ho sempre lodato in ogni edizione del Festival per le sue idee e gli script non banali, anche qui si riconferma scrittore in grado di elaborare idee simpatiche e che funzionano, proponendo una sorta di duo cacciatore di mostri alla Dylan Dog, se vogliamo, in versione da abito talare.

Altrettanto buona è la regia, sufficiente la fotografia e gli effetti speciali, ben dosate le musiche, per un lavoro che sotto l’aspetto puramente “costruttivo” in generale è confezionato davvero bene. La mia unica obiezione, con il ricordo che far ridere è un’impresa difficilissima, è che questa opera vuole essere più di tutto una commedia, ma a me non ha mai fatto incurvare gli angoli della bocca.

Il dono della risata è un dono raro, ma lo è anche la capacità di saper girare un corto e, nonostante questo film non abbia centrato il primo obiettivo sul sottoscritto, mi fa però affermare con certezza che Valerio Sperati un corto lo sa girare.

Detto questo, l’opera raggiunge la sufficienza piena anche solo per meriti di realizzazione, e sarei ben felice di vedere nuovamente Sperati in futuro su queste pagine, volesse egli provare a cimentarsi con qualcosa di più serioso, o nuovamente con una commedia, magari dotata però di vere situazioni comiche, più studiate, rispetto a dialoghi con tiepide battute di circostanza.