00 23/06/2015 01:04
Cosa può emergere da un concorso di cortometraggi, a livello di idee, non cesserà mai di stupirmi.

Dystopian di Nunzio Santoro è veramente qualcosa che non ti aspetti.
Prima di tutto a livello di “immersione”. Grazie all’uso del computer si è creato qualcosa che raramente si vede in un cortometraggio, ossia l’immersione in un mondo.

Spesso, per ovvi limiti di budget, i cortometraggi tendono ad essere mono location, a vicenda ristretta, non si possono mettere in atto cose come la creazione di un intero universo nel quale venir trascinati. Non dico che non accade mai, ma è cosa rara.

Nunzio Santoro vi è riuscito.

Ma non è tutto merito della realizzazione in computer grafica, sarebbe scorretto affermarlo.
Le origini della storia spiegate con dettaglio nella cronologia iniziale, i dialoghi densi di termini e significati che sono criptici per lo spettatore ma ben noti per chi ne fa uso, tutte queste cose tendono a dare un senso di Universo Credibile, di un mondo che si sta muovendo sotto agli occhi dello spettatore ben prima che lui premesse play. In questa vicenda, si viene scaraventati di prepotenza in una Terra del prossimo futuro nel quale la forma di vita digitale ha ottenuto la supremazia su quella umana. Ma gli umani, da che mondo è mondo, non hanno smesso di opporre resistenza.

Esiste un vero e proprio sottogenere dedito alle Realtà Virtuali. Oltre a scomodare l’ovvio Matrix, mi sono venute in mente molte cose mentre guardavo Dystopian, dall’Avalon di Mamoru Oshii, fino al Tredicesimo Piano, passando anche per un Nirvana, perché no?
Ma anche semplicemente ogniqualvolta in Star Trek si decide di avviare una simulazione sul ponte ologrammi. Però Dystopian non copia mai, al massimo richiama l’appartenenza ad un genere, come è giusto che sia.

Questo corto ha una propria anima, una propria storia ed una propria originalità, e mai per un secondo mi sono trovato a puntare il dito dicendo di aver già sentito la stessa cosa da un’altra parte. All’interno del suo genere di Cyber Reality, ha indubbiamente qualcosa da dire.

Tecnicamente parlando ho trovato di spessore notevole sia la sceneggiatura che i singoli dialoghi, per una delle trame più coinvolgenti di tutto il Festival. Encomiabile veramente, ovviamente, tutto il lavoro svolto con l’editor (o con qualsiasi strumento si sia utilizzato per mettere in piedi le parti in CGI, non sono un esperto) perché deve essere stato davvero un lavoraccio. Sapientemente dosato l’uso delle musiche. Alto il ritmo narrativo, sono ventuno minuti che volano, soprattutto per chi, come me, ha un debole per le storie a carattere distopico.

E poi ci sarebbero tutta una serie di piccole chicche da analizzare, cose che possono apparire diversamente in base a chi guarda. Ad esempio, perché la polizia dei Digitali sono nazisti? Questa domanda me la sono fatta appena ho visto il primo soldato. Qualcuno potrebbe imputare la scelta al fatto che il regista non abbia avuto “voglia” di creare un modello di soldato particolarmente originale per il suo corto. Io invece mi sono ritrovato a riflettere, a questa e ad altre cose, che credo non siano state lasciate al caso.

L’uomo crea. L’uomo inventa. Ma le macchine non hanno inventiva. Sono procedurali, sono macchine appunto, non hanno la scintilla dell’originalità e del nuovo. Per cui mi sono convinto, e ne sono certo, che per creare Columbia i Digitali abbiano attinto a piene mani da concetti umani, e da tutto un database di cose già esistenti, per l’incapacità di poter creare concetti nuovi. Servivano Digitali dediti ad un controllo di tipo militare, come soldati? La macchina ha scelto di rappresentarli nel modo più iconico possibile, con la figura autoritaria del soldato più noto di tutti.
Allo stesso modo notiamo, nella casa della Prostituta Digitale, cose come una copia di World of Warcraft su uno scaffale ed un poster de Il Cavaliere Oscuro di Nolan sul muro, sviste del regista, che si è dimenticato queste opere vecchie di 40 anni in un contesto futuristico? Credo di no. Probabilmente i Digitali, a Columbia, giocano e guardano tutti prodotti creati ancora all’epoca in cui vi era qualcuno in grado di concepirli, ossia l’uomo. Probabilmente non hanno mai creato giochi o film con le loro mani, successive opere d’arte, perché non ne sono in grado.

A riconferma di tutto questo mio pensiero possiamo notare che abbiamo un’architettura non “aliena” o strana a Columbia, ma estremamente classica e da ventunesimo secolo, per case ed edifici. Sempre perché il cosiddetto “mondo perfetto” doveva coincidere con ideali classici, ben noti, che avrebbe proprio scelto un computer.

Ma ora basta, sto divagando, un bravo a Nunzio Santoro e al suo Dystopian, davvero un gran bel prodotto di cui andare fieri, e un in bocca al lupo per questo e molti altri concorsi.