Coppia francese di mezza età si trasferisce dalla città in un paesino remoto dell'entroterra montuoso galiziano, dove corona il suo sogno di vivere in mezzo alla natura coltivando un orto, rivendendone i prodotti al mercato locale e ristrutturando senza fini di lucro le case in rovina che abbondano in queste zone sempre più spopolate. Non sono visti di buon occhio dagli autoctoni, in particolare da una coppia di fratelli che vive proprio accanto alla loro proprietà.
Conosco un po', per averla vissuta da vicino, la realtà delle zone montane cosiddette "depresse", dove lavoro ce n'è poco e quel poco è duro e mal retribuito, dove chi ne ha avuto la possibilità se n'è andato da tempo, dove l'economia non gira e il turismo non arriva.
E conosco bene quella sensazione di arrivare "da fuori" ed essere considerati sempre "forestieri" (soprattutto se il fuori è la grande città) da chi in quelle zone ci è nato e sa che con tutta probabilità ci morirà.
Non importa quanto ami quel posto, quanto tu ci abbia investito da ogni punto di vista e quanto ti stia a cuore quella realtà: per quanto tu riesca ad integrarti e farti benvolere, rimani fondamentalmente uno straniero, un "foresto", come dicono in alcune regioni qui in Italia.
Fortunatamente, la mia esperienza settennale sull'Appennino Ligure non ha avuto alcuna connotazione tragica, a differenza di quanto accade ad Antoine ed Olga, che ad aggravare la loro già delicata posizione di stranieri, col loro voto contrario impediscono che una multinazionale olandese acquisti per quattro soldi il diritto ad installare pale eoliche su quella terra. Quattro soldi che per Xan, che spala merda da una vita, come sua madre e suo fratello, costituirebbero l'unico modo per tirarsi fuori da quella gabbia che li imprigiona da generazioni. Quattro soldi che per Antoine non valgono la candela: lui, che quella terra se l'è scelta, che di proposito ha lasciato tutto per andare a viverla e lavorarla, non accetta di vederla deturpata.
Ciascuno ha le proprie ragioni, nessuno è disposto a cedere.
Sorogoyen, di cui avevo già apprezzato Che Dio ci perdoni (recuperatelo se non l'avete ancora visto), mette in scena in modo magistrale il conflitto tra due mondi che non si capiscono, non riescono a comunicare, e sono destinati a collidere tragicamente.
Le premesse sono piuttosto classiche (l'uomo istruito e "civilizzato" inserito in un contesto rurale abitato da individui rozzi e ignoranti) e possono facilmente richiamare cose già viste (Cane di paglia, per citarne uno su tutti), ma Sorogoyen, come sempre coadiuvato nella scrittura da Isabel Peña, preferisce evitare una risoluzione da revenge movie e a metà film vira completamente in tutt'altra direzione.
Là dove Peckinpah faceva culminare tutto nel sangue, il regista spagnolo sceglie una svolta meno manichea, in apparenza più conciliante ma in realtà piuttosto ambigua e aperta a diverse interpretazioni.
Aggiungo che il cast è strepitoso, i dialoghi straordinari, musiche e ambientazione perfette.
Da non perdere, 7 e 1/2.