Ecco.
Mi piacciono moltissimo gli abitacoli.
Ritengo siano una location straordinaria per dialoghi e azioni.
E lì dove le seconde, per ovvi motivi di spazio, hanno da essere contenute, i primi possono invece
esagerare.
Ci si può stare pure un'ora, a guardare due attori che parlano in automobile.
Forse c'entra un po' di spicciola psicologia: il mezzo che rimanda all'idea del movimento, anche se fermo,
vaccina la scena dal morbo del piattume.
Adoro gli abitacoli.
Eppure, a essere proprio bravi, si può anche riuscire a farmeli odiare.
Basta poco.
E il poco che basta si chiama STACCO.
Lo ripeto: l'abitacolo è un luogo meraviglioso.
Il concetto di "viaggio" che ogni storia racchiude è ancor più affascinante se, col viaggio, durante
il viaggio, si narrano gli eventi.
E infatti è innegabile che un racconto ambientato in un aereo, su un treno, su una nave, o su un autobus, come Speed, colpisca ancor prima di cominciare.
Viaggio...
E la macchina è il mio mezzo preferito.
Soprattutto se in movimento.
Perciò ottima scelta, la cosa mi è piaciuta subito, Luigi.
Ma mentre mi godevo il tuo corto, storcevo il naso. Perché a causa di quel poco che si chiama STACCO
hai limitato, se non disinnescato completamente, la carica esplosiva che avevi a disposizione.
Hai deciso di metter su un film giocato sulle ruote. Sulle gomme.
Fico.
Già dal titolo, questo è piuttosto chiaro.
Poi però c'hai messo gli stacchi, troppi, secchi, e il viaggio che è la tua storia si inceppa.
Di continuo.
Neffa ti consigliava saggiamente di fare attenzione al pesaggio notturno durante il finto movimento.
Ma se pure ci fossero state le luci di Las Vegas a sfilare nei finestrini, io avrei avuto la sensazione
dell'immobilità.
Il motivo? Eh, gli stacchi.
Vere e proprie forbiciate, cesoiate, rallentano le dinamiche del dialogo, fanno fuori l'emozione.
Un piano sequenza sarebbe stato l'ideale.
Perfino con la camera in una posizione scomoda, come nello splendido incipit di Blood Simple.
Perché mi spiace che questa storia, magari non originalissima, non sia stata sfruttata al massimo.
Cioè, la storia non mi garba molto, lo dico.
Ma il punto è che aveva un'anima, un cuore che batteva in nome di un unico scopo: muoversi.
Questa storia, credo, voleva correre, non fermarsi mai, dall'asfalto all'abero, dall'albero all'inferno.
Dalla vita alla morte.
Gli stacchi la frenano. La fanno... balbettare, lei che aveva un fiume di parole da dire.
Ho mentito. C'è anche un'altra cosa.
Il poco che basta degli STACCHI contiene pure il FLASHBACK.
Anche questo, a mio parere, tira il freno a mano.
C'è l'auto, c'è il dialogo e c'è la storia che puntano in una direzione. Il FLASHBACK nella direzione opposta, e
il viaggio si interrompe.
Non sono uno sprovveduto, so che questa è la natura del flashback, ci mancherebbe.
Altrimenti che back sarebbe?
Ma qui, con questa storia che voleva correre, stona.
Forse, e dico forse, andava raccontato subito l'omicidio. Forse era a causa di quello, che il protagonista
beveva al ritorno in casa.
E poi da lì, il resto.
Sarebbe stato un viaggio ancora più complesso, una discesa nella follia omicida, nella morte e nella punizione.
Tutta di filato.
Senza stacchi al momento dei dialoghi in auto con Lucifero, magari.
Insomma, per concludere, il mio umile consiglio è di fare attenzione a ciò che si ha tra le mani.
A capire come prendere il massimo dai mezzi a disposizione.
A domandarsi cosa hanno da dire le risorse materiali che possediamo. Perché qualunque luogo, anche
il più chiuso e limitato, parla.
Ha una voce, sì.
Una spiaggia, un bosco, un magazzino... un'auto. Se si sceglie una location, e la location non è a caso, allora
la location deve avere la possibilità di parlare.
Sta alla troupe tradurre in parole comprensibili quel linguaggio.
Faccio una citazione, tanto per spiegarmi: ho visto una boiata che si chiama Pasto Umano.
Una roba pessima, da dimenticare.
Se non fosse che, in questa produzione di infimo livello, recitata da quattro marionette, c'è di mezzo
una location che ha i controcazzi.
E' bella? E' originale?
Macché. E' il solito localetto porno.
E allora?
E allora quel localetto porno parla. Parla un casino. Doveva fare schifo, doveva essere sporco e
polveroso, e sporco e polveroso è stato.
Io ho visto Pasto Umano e, tra una bestemmia e l'altra, mi grattavo.
Perché il localetto porno fa schifo per definizione. Quella è la sua voce.
La voce dell'auto è che deve muoversi. E tu l'hai ascoltata poco.
Ultima notazione: a morire è stata una donna incinta. Mi ha colpito che non ci siano stati riferimenti
alla gravidanza. Al pupo.
Non è che sono antiabortista o cose del genere, non sia mai... Dico che mi ha colpito nella dinamica del
dialogo la totale assenza di riferimenti alla seconda vita stroncata.
Cioè, nel dialogo ci stava una frasetta su questo. Doveva starci.
Tuttavia, magari fosse come nel tuo corto, vero Luigi?
Magari c'andassero solo gli assassini, all'inferno.
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"Si staranno preoccupando per noi?"
"No, non ancora. Dovevamo incontrare i camion venti minuti fa; si faranno vedere soltanto fra un'ora e mezza. Alle due, cominceranno a chiedere a
qualcuno se c'hanno visto. Alle tre ci cercheranno nei bar, e verso le quattro si arrabbieranno. Alle cinque, forse qualcuno capirà che ci siamo persi. Alle sei, il capitano penserà di chiamare il comando, e lo farà solo alle sette e mezza. Dal comando risponderanno che è tardi e
che ci penseranno domani."