00 15/04/2008 20:32
Ecco.



A Natale succede sempre la stessa cosa: che spendo un sacco di soldi per i regali, e li faccio belli, per davvero, ma poi li impacchetto male.
Non so fare i pacchetti. Ammucchio la carta su se stessa, il nastro è sempre troppo lungo, troppo corto, lascio spazi aperti da cui indovinare i segreti doni.

Segreti. I segreti.
Ecco un titolo che parte maluccio. Diretto, elementare, senza piglio.
Potrebbe voler dire qualsiasi cosa, e di fatto vuol dire nulla.
Pare voler solleticare curiosità e mistero, ma è troppo immediato per riuscirci.
Diretto, elementare, senza piglio.
Come una carta da regali con gli alberelli e i fiocchi di neve.
A Natale.

Il pacco che abbiamo di fronte, poi, con su scritto I Segreti, ha ancora diverse pecche.
Intanto, la protagonista fuma.
L'ho già detto che non apprezzo il fumo nei corti amatoriali. E si badi: non è il parere bigotto di un salutista convinto.
Io adoro il fumo. Le centinaia di metri quadri in cui si dice possano estendersi gli alveoli polmonari sono una villa a triplo piano che concedo al signor Winston Blu da diverso tempo.
Adoro il fumo, ma nei corti non lo sopporto. La sigaretta è il rifugio di chi non sappia darsi un'aria riflessiva in modo naturale, senza armamentari.
Una boccata, una sana espirazione trascinata, gli occhi socchiusi da dentro la nuvoletta artificiale, il contare sullo spontaneo accostamento dello spettatore tra fumo e dannazione, ed ecco fatto il personaggio tormentato.
No. Non credo sia così semplice.
E quando non c'è questa intenzione da parte del regista, allora il fumo è solo un modo come un altro di affrontare l'imbarazzo da telecamera.
L'imbarazzo è il miglior amico del tabagismo, fidatevi.
Anche nella vita reale.


Altri problemini col pacchetto...
La tovaglia.
Ora, non prendetemi per pignolo. Non lo sono.
Dico semplicemente che un'atmosfera drammatica e angosciosa come quella presagita dall'incubo iniziale, non può portarmi a una stanza in cui ci sia una tovaglia come quella.
E dico sul serio.
Sembra stia delirando come al solito, ma credetemi: non cerco di fare il simpatico.
Penso sul serio che una ripresa come quella, supportata da una intensa e tristissima musica al pianoforte, immersa in una bluastra luce glaciale, avrebbe meritato una scenografia differente.
E il problema del corto è proprio questo: la scenografia, e il modo di muoversi nella scenografia.
Non la storia, che pare abbia suscitato diverse controversie.
Piuttosto gli ambienti e la maniera di abitarli.
Il pacchetto, non il dono, appunto.

Continuiamo.
Altro esempio lampante di ciò sta nella posizione che assumono le due protagoniste al momento in cui l'ospite inattesa attacca a parlare della Dama.
E' un momento forte, o che dovrebbe essere tale, perché quella donna sta raccontando qualcosa di assurdo, da brivido, che ci farà calare nella vicenda.
E avviene in piedi, nel corridoio, con tanto di citofono in piena vista.
Si poteva cercare un'angolatura diversa, più efficace, anche restando tra le mura di una casa ordinaria.
Inoltre la recitazione non aiuta, né le azioni-reazioni sono credibili.
Il pathos è poco, e non si può giustificare l'assenza di un grido tipo "Ma fuori da casa mia, brutta pazza!" da parte della protagonista.
E se non si può giustificare tale assenza, lo si deve anche alla pochezza del pacchetto. L'ambiente è troppo rassicurante, la posizione nell'ambiente rassicurante troppo banale.

Ma succede pure dopo, di avvertire la stessa miseria scenica.
Al rientro dal balcone, le due stanno per diverso tempo l'una di fronte all'altra, riprese a mezzo busto, a due passi dalla allegra tovaglia, mentre il racconto dell'ospite continua.
L'inquietante racconto.
Eppure il mezzo busto, così poco personale e molto da filmino in piano sequenza durante una festa tra amici, spacca tutta l'atmosfera.
Coadiuvato dall'ambiente tranquillo.

Ma è adesso che arriva il bello.
L'ho trovato perfino, attenzione, geniale, nella sua esagerata bruttezza.
Sto parlando del sig. Oscar.
Lo conoscete? No, non è amico del sig. Winston Blu.
Quest'ultimo è Blu, appunto, mentre il nostro Oscar è d'oro, nel migliore dei casi, di plastica gialla nei casi più comuni.
Se non lo conoscete, ve lo mostro io.
Seguitemi.

Siamo al risveglio della protagonista dopo un orrendo incubo.
La tensione c'è.
E ce ne sta ancora di più quando, aprendo gli occhi, si ritrova nella stanza una figura agghiacciante che le dà le spalle, una figura di donna col velo a coprirle il volto.
E' forte, come scena. Davvero.
La protagonista si alza, va verso l'inquietante presenza... e...
Eccolo là! Lo vedete?
Sull'armadio, farebbe ciao ciao con la manina se non l'avesse incollata al fianco.

Ora, facciamo che mi spiego ancora una volta, per non rischiare di sembrare un emerito idiota.
Il pacchetto è importante.
Quando si regala qualcosa, anche una storia, è bene che il pacchetto sia quello giusto.
Un regista, al pacchetto, deve badarci. Non si può pretendere di imbracciare la telecamera, di ordinare movimenti all'attore, senza aver prima guardato e guardato e guardato la location.
E' essenziale.
Basta un dettaglio, un particolare a cui non si è fatto caso, e tutto crolla nel terremoto del ridicolo.
Quell'oscar fasullo è ridicolo.
E' troppo casa qualunque, troppo camera per ragazzi, troppo vita normale, per supportare una storia come questa.

Perché la storia è strana. E' particolare, magari pure profonda, Lynchiana, assurdamente ricercata.
Una storia simile meriterebbe altra cura estetica.
The Mouth, altro corto in gara, ha un pacchetto striminzito; ma la storia pure, lo è.
Sporca, semplice. Il dono The Mouth sta bene in quel pacchetto.
I Segreti, che storia semplice non è, nel pacchetto I Segreti sta male.
E allora mi chiedo perché non divertirsi a cercare una tovaglia diversa. A togliere quell'oscar, a giocare con primi piani e a scegliere una posizione recitativa differente nelle fasi del dialogo.
Ancora, tanto per sfruttare elementi che abbiamo vicini, pensiamo a Vi Amo, Addio.
La scenografia è azzeccata. Curata fino all'ossessione.
E ci sta da dio.
Da dèa, pardon.
Si lega all'atmosfera che è una meraviglia.


Ma ora ho paura. Ho paura che tu, Matteo, mi dica che la tovaglia, l'oscar e chissà cos'altro erano citazioni da grandi film.
Può essere, e mi scuso per l'ignoranza dimostrata.
Fatto sta che qui, secondo me, stavano male.
Che le citazioni, sempre che lo siano, a volte stonano, se non permettono una perfetta discesa nell'atmosfera regina della storia.

La storia. Peccato, perché non mi sono sforzato tanto a viverla.
Colpa di ciò che le girava attorno.

A Natale, faccio pacchetti orribili.
E credimi: una volta visti quelli, i regali che ci sono dentro, qualunque essi siano, generano sempre sorrisi a metà.












[Modificato da Steveau 15/04/2008 20:36]
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"Si staranno preoccupando per noi?"
"No, non ancora. Dovevamo incontrare i camion venti minuti fa; si faranno vedere soltanto fra un'ora e mezza. Alle due, cominceranno a chiedere a
qualcuno se c'hanno visto. Alle tre ci cercheranno nei bar, e verso le quattro si arrabbieranno. Alle cinque, forse qualcuno capirà che ci siamo persi. Alle sei, il capitano penserà di chiamare il comando, e lo farà solo alle sette e mezza. Dal comando risponderanno che è tardi e
che ci penseranno domani."