Una tizia si ferma di notte in una stazione di servizio deserta e viene presa di mira da un cecchino nascosto su un'enorme cartellone su cui campeggia la scritta che vedete qua sopra.
Avevo quasi il sospetto che la scritta con le parole tuttattaccate fosse l'idea scatenante attorno a cui Franck Khalfoun, regista del sopravvalutato remake di Maniac, insieme ad altri due tizi avesse poi costruito l'intero film, immaginando un cecchino nascosto ecc.ecc.
Invece no, anche stavolta è un remake, di un film spagnolo del 2015 intitolato La Noche del Ratón, in cui un uomo in una stazione di servizio viene preso di mira da un cecchino. Non avendolo visto, non so dirvi se anche qui compaia il suddetto cartellone, ma propendo per il no e quindi questa rimane probabilmente l'unica idea originale del nostro remakkatore seriale.
Il film regge dignitosamente per i primi 20/30 minuti, senza un briciolo di originalità, ma mettendo in scena in maniera accettabile la solita solfa dell'assedio (la tizia si becca una pallottola, va in panico, realizza, va in panico di nuovo, si nasconde, usa cose e cerca espedienti).
Solo che poi le tre geniali menti al lavoro sullo script si fanno prendere dall'ansia da riempimento, forse rendendosi conto che manca un'altra ora di film e la protagonista non può continuare a lanciare pacchetti di pile per spegnere gli interruttori della luce.
Ed ecco che a qualcuno viene in mente l'idea malsana di far parlare il killer a ruota libera (grazie al cielo con un walkie talkie e non urlando dall'altro lato della strada). Epic fail, perché nessuno in questa combriccola è in grado evidentemente di mettere insieme dei dialoghi sensati, figuriamoci convincenti, men che mai ficcanti.
E infatti il misterioso cecchino pare colpito dalla maledizione randomica di Alex Drastico. All'improvviso comincia a snocciolare, con un tono di voce in grado di indurre nello spettatore un sonno letargico, una serie di banalità che sembrano prese dai meme più diffusi su Facebook dai tempi del Covid, scagliandosi con un pressapochismo imbarazzante contro case farmaceutiche, vaccini, movimento MeToo, mogli fedifraghe, ma anche insinuando dubbi sulla propria identità, di cui peraltro non frega già più a nessuno e che comunque non scopriremo mai, col giochino del "potrei essere questo o quello o quell'altro ancora", dove manca solo "potrei essere TUO PADRE".
Sorvolando pietosamente su tutte le inverosimiglianze e incongruenze della trama, la cosa più grave è proprio il totale fallimento nella rappresentazione del killer, che a un certo punto smette di essere minaccioso e diventa quasi patetico. Da figura misteriosa e letale viene trasformato in un perfetto coglione, nell'elettore medio trumpiano che a Khalfoun e soci sta evidentemente sul cazzo, tant'è che sarà venuto il durello a tutti e tre quando hanno deciso di farlo morire malissimo.
Il fatto è che non puoi buttare sul piatto con tanta superficialità questioni che presentano infinite sfumature e sfaccettature, dando per scontato che tutti la pensino (come te) in modo elementare in termini di bianco e nero, giusto e sbagliato, pro-vax e no-vax.
E invece vanno a parare proprio lì: killer complottista vs povera vittima che lavora per la "Phinzer Pharmaceuticals" (sic!). "Noi salviamo vite", dice lei, quando viene accusata di fare soldi sulla pelle della gente.
Sembra una roba scritta da Scanzi.
A me questa narrazione sta profondamente sul cazzo e batto un cinque al killer quando dice "preferite etichettarci per poterci controllare", anche se poi risulta impossibile empatizzare con lui perché spara una marea di puttanate e, cosa forse anche peggiore, è mortalmente noioso.
Un film veramente demmerda.
Quasi quasi era meglio Ritorno al futuro.